Propongo una mia intera sequenza poetica, Da un’urgenza della terra-luce (Ed. Associazione Culturale La Luna), apparsa in una plaquette parte di una collana diretta da Eugenio De Signoribus, con un’incisione di Antonio Del Gatto (ENRICO DE LEA).
Dalla nota finale: “Trattasi di testi – aventi come prestiti/pretesti fisici la costa e l’entroterra dell’area ionica prossima allo Stretto di Messina – con cui si tentano, forse da una distanza, profili di progressivi avvistamenti ed avvicinamenti ad una terra-luce, attraverso una parola arcuata tra passo collinare, bracciata e marea raggiunta o fuggita, un ossessivo, costante identificarsi coi luoghi resi luce e con la luce resa lingua e materia amata, una mitografia ctonia e naturale, in cui insiste anche la storia personale e collettiva “
I.
S’accosta, da un’urgenza
della terra-luce, nell’oscuro strappo
della volta, nel tremante
saluto della mano,
sul dorso un rossore
di nerbo, ustione, nutrimento.
II.
Serba memoria d’alba,
camminate tra lo spino
e un rintocco calcareo, salvezza
sconosciuta dalle serpi.
Ritrova una salvezza altra,
di radura, la morte subitanea
dei vigneti, con la finzione
divenuta vita.
III.
Una frase anch’essa
calcarea, al suo spaccarsi
a un fuoco di fornace,
rende una crepa al cielo, troppo
vicino da escludersi.
Colmo di ogni ramo, esausto,
che qui s’innalza, collo
come di bestia antica
incattivita, resta,
sul vetro alle finestre, vapore
di erbe cotte della selva.
IV.
Case con luminose udienze
l’accolgono, gerani ai davanzali,
una difesa d’ombra. Rintocchi
annunziano il delirio, celato
da persiane – la gravità del mondo
un chiavistello. Offre granite scure
a una peste incipiente,
ai monatti che celiano in combutta.
V.
Profili disegnati dalla marea –
è la visione delle ginestre in alto.
Il vento dall’interno accatasta
carri bovini, barche e nuova smania
per la fuga. Al disfarsi dell’aria
un varco nel seccume
del greto ieri navigato.
VI.
Quali colori il mai senza risposte, il ferro
degli sterpi ai nuovi fuochi: io
m’inginocchio alla vista
di terre note.
VII.
De terraemotu, in primis,
in exitu mundi,
con quale fenditura di rosso sotto
i mari, i cieli, con tal coltello
di porpora lanciato sul biancore
della divinità che appare. Nella bracciata
dell’esule vetusto
un agitarsi d’ansia ed una sete.
Eguale traccia dell’esasperata
febbre coltiva ed alimenta,
con la scoperta d’una fine e fiamma.
VIII.
Con una treccia materna taglia
l’impasto familiare di sangue e seme,
campane per l’allarme dai ladri
che dalla palma attentano alla casa.
La cassapanca nell’ombra
è sovrastata dal quieto ritratto della sabbia
sul volto del figlio, dalla rabbia dei torti
inaugurati, dalle attese di una luce intera.
IX.
Gelo di verità ai vetri stende
una tela di schiuma per le dita.
Il selciato di mastri scalpellini,
forse provenienti da altre valli,
e poi svaniti come un popolo
di voci, di vesti zingaresche,
conserva la nota del clarino
del soldato appiedato, da un oltralpe
di fame di un paesaggio.
X.
Nell’ordinanza e dominio dei colori,
concede eredità, rinunce
agli avi, ai successori,
s’apre ai muti
cori mattinieri del vallone,
millesima i dolori.
Il bastione delle soste
meridiane lo conserva
nelle tracce della cava a monte
e dell’altra, ignota.
Calcare ed arenaria sui portali,
fissa antri smussati,
sbrecciati, polvere senza peso
come il secolo.
11 settembre 2012 at 5:02 PM
[…] viaalcuni versi, in certi luoghi. Share this:CondivisioneFacebookLinkedInTwitterTumblrLike this:Mi piaceBe the first to like this. Questo articolo è stato inserito il martedì, 11 settembre 2012 alle 5:00 pm ed etichettato con in versi, scritture poetiche e pubblicato in scritture poetiche, sul territorio. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. « Articolo precedente […]
20 settembre 2012 at 3:41 PM
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